Dal XVI al XIX secolo, in tutto il sud Italia e soprattutto in Sicilia, erano in uso la mummificazione e la scheletrizzazione, particolari pratiche funerarie utili a preservare i corpi dei defunti e privarli della parte putrescibile. Entrambi i trattamenti venivano messi in atto in cripte poste sotto la pavimentazione delle chiese o conventi.
Per la mummificazione, il corpo veniva posto in un colatoio orizzontale per far essiccare rapidamente i tessuti, anche grazie a particolari condizioni climatiche e ambientali, per poi essere, subito dopo, rivestito ed esposto.
Nella scheletrizzazione invece, il corpo veniva deposto in ambienti funerari provvisti lungo le pareti di una serie di nicchie con sedili in muratura, ciascuno dotato di un foro centrale. Il cadavere del defunto era collocato in posizione seduta in modo da far confluire i liquami prodotti dalla putrefazione direttamente all’interno del foro collegato a una canaletta di scolo.
Nello stesso ambiente, inoltre, erano presenti generalmente l’ossario e alcune mensole in muratura. Una volta finito il processo di scolatura e decomposizione, i resti scheletrici venivano spostati nell’ossario, mentre il cranio era posizionato sulla mensola.
Questo processo, idealmente, è come un percorso di “purificazione” del corpo, assimilabile al viaggio verso l’eternità che deve compiere l’anima del defunto; viaggio in cui si stabiliscono forti relazioni tra i vivi e i morti, attraverso preghiere di suffragio e continue verifiche dell’avvenuta scheletrizzazione.
È proprio dal processo di putrefazione che questi ambienti presero il nome di “putridaria”
Fonte: www.chiesasantalfio.it